Un salvataggio dedicato agli eroici che sabato correranno sulle strade bianche del Chianti.
Di Andrea
Guardatela bene. Guardatela attentamente. Nei suoi tubi d’acciaio scorre tutto il sapere e la maestria dei raffinati artigiani italiani che negli anni sessanta realizzavano dei capolavori come questo “lingotto d’oro”. Sul suo canotto calibrato campeggia ben chiaro un nome: Bottecchia.
Ottavio Bottecchia era una gran corridore dell’epopea del ciclismo eroico. Tanto fiato e coraggio da vendere. L’impresa più eroica fu sicuramente la vittoria al Tour de France del 1924. Una sorpresa, non se lo aspettava nessuno. Il 22 luglio la prima pagina della Gazzetta dello Sport titolava a lettere cubitali: “Bottecchia vince trionfalmente il Giro di Francia e raggiunge la meta che da 20 anni i più forti routiers italiani perseguivano invano”. I tifosi francesi lo adorano come un dio, il suo nome è sulla bocca di tutti: “Bottescià! Bottescià!”. Che mito, che storia.
Venerdì 7 giugno 2013, ore 18.15. Uscito dall’ufficio, per rilassarmi un po’ e cercare di allentare la tensione che mi attanagliava (il giorno successivo mi sposavo), entro nel mercatino delle pulci lungo la strada che mi riporta a casa. Entro distratto, quasi sicuro che non avrei trovato niente, forse lo speravo visto che avevo altro da fare in quei giorni. E invece eccola lì, coperta di polvere (tanta) e gloria (tantissima) una splendida Bottecchia Campione del Mondo 1966 conservata e originale praticamente in tutto. Cambio, guarnitura, mozzi e gruppo sterzo firmati Campagnolo. Il colore mi abbaglia: oro zecchino. Chiedo subito il prezzo: non ci credo, poche decine di euro. Non so cosa fare, il cuore vorrebbe prenderla al volo, la testa mi dice che non è il momento giusto. Ascolto la ragione, a malincuore la lascio lì e cerco di levarmela dalla testa. Infrango la prima regola del cacciatore di parafernalie: non indugiare mai.
Uscito, incontro un collega a cui in questi anni ho trasmesso la passione per il “pedale” vintage. Non resisto e infrangendo la regola numero due dei cacciatori di parafernalie gli racconto la mia scoperta. Non esita un attimo e spinto piu’ dalla prospettiva di una facile speculazione che da una sana passione, la compra immediatamente. Mi mangio le mani e mi pento di non averla presa. Ma ormai è andata.
Tornato in ufficio dopo il matrimonio e il viaggio di nozze faccio la scoperta più scioccante: la campionessa del mondo 1966 è finita sulla “baia” a 550,00 euro. Mi vien da piangere ma non è finita qui. Il mio collega mi dice che è già smontata, avvolta nel pluriball e imballata pronta per essere spedita dall’altra parte della terra. Sta per volare a Fukuoka in Giappone. La solita storia che si ripete, un capolavoro artigianale e sportivo del nostro paese se ne sta per andare per sempre. Finirà nelle mani di qualche facoltoso collezionista con gli occhi a mandorla e col pallino del “made in Italy”. Non posso restare a guardare, devo fare qualcosa.
Inizia così la mia opera di persuasione e convincimento e alla fine la spunto io. Il mio collega capisce, si emoziona, mi abbraccia. Al jap racconteremo una balla ma non importa, il “lingotto” deve restare qua.
Arriviamo a un patto: la Bottecchia è di tutte e due. Lui ha messo l’abilità nel fare affari io metterò la passione per farla tornare in forma come nel lontano sessantasei.
Tiro un sospiro di sollievo ora che è in Officina e sonnecchia tra una verde Gramaglia e una bronzea PEP Magni. Attende solo le mie cure amorose e chissà, magari l’anno prossimo la portiamo all’Eroica.
p.s. per uno scherzo del destino gli amici più cari, ignari di tutto, hanno regalato a me e a mia moglie per il matrimonio un fiammante tandem anni ottanta. Indovinate la marca. Esatto!